Di Giusi Sammartino
Una piazza per parlare, una piazza per dialogare tra tanta gente, tra chi passa e chi sta lì per informare, per far conoscere altre realtà e “accendere” un confronto.
Piazza dei Mirti a Centocelle, un grande quartiere a est di Roma che si spinge da Porta Maggiore fino alla periferia più lontana, è stata la prima Piazza del dialogo, sabato 26 ottobre, alla quale con il tempo ne seguiranno altre che rispondano con lo stesso entusiasmo e che gli organizzatori (la casa del popolo di Centocelle, la Rete Diamoci una mossa! Contro il razzismo e l’Unione degli studenti di Roma) sperano aderiscano con la stessa partecipazione e allegria. Dal primissimo pomeriggio fino all’imbrunire in piazza, nell’ultimo giorno dell’ora legale, si sono sentite le voci di tante persone che hanno raccontato la loro esperienza, il loro pensiero, anche attraverso la loro arte (erano esposti i lavori dell’artista Claudia Melotti), e hanno parlato dell’Africa e non solo, della possibilità di un’accoglienza reciproca dovuta a “un’umanità in movimento da sempre”. Ci hanno spiegato che chi viene qui da noi e ci chiede ospitalità non è per principio una persona negativa, cattiva solo perché non italiana. Non sono uomini e donne che rispondono per forza al clichè ripetuto tante volte come chi “ci ruba il lavoro e lo deprezza sul mercato”, come chi “ci porta la droga e disturba i nostri figli e le nostre figlie per strada” come chi prende decine di euro al mese, direttamente dallo Stato italiano, come chi, soprattutto se di etnia rom o sinti (e viene chiamato con termine spregiativo zingaro) sia assolutamente incolto e sempre pronto a rubare.
Invece, proprio tra i primi interventi in piazza c’è stato quello, interessantissimo, di Saska Jovanovic Fetahi, una delle protagoniste del libro Siamo qui. Storie e successi di donne migranti (edizioni Bordeaux) che racconta, dopo la bella prefazione affidata alla grande attice Piera Degli Esposti, l’esperienza di ventinove donne non nate in Italia che dopo i mestieri classici (badanti, colf, baby-sitter) riescono a rimettersi in gioco e a ricrearsi una vita nuova sulle proprie esperienze e sui propri sogni .
Saska Jovanovic è un’ingegnera proveniente dall’ex Jugoslavia perché, al momento della sua partenza da casa erano i tempi della guerra dei Balcani. Ora, dopo varie esperienze e disavventure è qui creatrice e presidentessa della Romni onlus, un nome molto bello perché “romni” significa “donna”. E dell’attenzione e della cura verso la donna rom e sinti Saska si occupa con la sua associazione. In piazza ha raccontato di lei della sua vita in Kossovo, del suo arrivo in Italia, ha parlato delle sue sorelle, in una sorellanza di vita, ha fatto capire a chi ascoltava, seduti e sedute sulle panchine o di passaggio, che essere una donna rom o sinti in Italia non è stato e non è ancora facile, ma che allo stesso tempo non significa non avere titoli di studio, e lei ne è un esempio, o vuol dire abitare, qui o altrove, esclusivamente nei campi.
I dialoghi in piazza hanno avuto come sottofondo le note africane delle percussioni del gruppo di Ousmane Coulibaly, che hanno allietato gli intermezzi, tra un intervento e l’altro, ma alla fine hanno creato un vero e proprio spettacolo che ha coinvolto tutti e tutte, soprattutto i più piccini in un allegro vortice di danze.
Purtroppo negli ultimi tempi siamo stati sommersi da frasi che spingono alla xenofobia, all’odio per chi viene da luoghi altri. Il loro motto di propaganda è sempre stato “aiutiamoli a casa loro”. Noi, dall’occidente che giudichiamo all’avanguardia, a “casa loro” ci siamo stati e ci siamo davvero a tutt’ oggi. Per godere delle bellezze di un territorio e soprattutto di un mare incontaminato. Ci siamo per uccidere e depredare gli animali selvaggi che vivono nel loro ambiente in piena libertà, per esporne poi le carcasse imbalsamate come trofei nei nostri salotti occidentali. Ci siamo per vendere armi, per fomentare, quasi silenziosamente, le guerre in cui usarle, per porre al potere gli uomini “nostri”, voluti dai poteri occidentali, che permettano il nostro stare lì indisturbato, che continuino a “creare” le guerre fratricide che impoveriscono solo la povera gente.
Soprattutto siamo lì, ce lo hanno spiegato bene e chiaro nei loro interventi Emery Enego Bavogui, attivista, e Soumaila Diawara, poeta e rifugiato politico, autore di raccolte di poesie di notevole bellezza, per depredare l’Africa delle materie prime spesso introvabili altrove, grazie alle quali possono essere costruiti e venduti, anche agli stessi africani, i nostri cellulari, i nostri computer e tanto altro. Tutto ciò che i più tra di noi non immaginavano neppure la provenienza. Non sapevamo che dovevamo ringraziare esclusivamente proprio l’Africa!
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